Sentiamo spesso parlare di tracciabilità dei prodotti, e la parola stessa rimanda a un significato chiaro: “seguire le tracce”. L’abbinamento e a volte addirittura la sovrapposizione alla parola filiera, potrebbe confondere i due significati che, invece, sono ben distinti.
Se vogliamo “riconoscere” dobbiamo prima di tutto “conoscere”, ecco perché è importante approfondire imparando a distinguere le differenze.
Partiamo dalla definizione:
“Tracciabilità: La possibilità di individuare, a partire dalle materie prime che lo compongono, le varie fasi di preparazione e commercializzazione di un prodotto alimentare.”
La tracciabilità dei prodotti alimentari è una disposizione relativamente recente che semplifica e rende quindi trasparente la scelta dei cibi che scegliamo di acquistare in modo consapevole, ed è in vigore in tutta l’Unione Europea dal 2005.
Possiamo quindi affermare che la tracciabilità sia un percorso all’indietro, un processo di ricostruzione preciso di tutte le fasi della produzione, della trasformazione e della distribuzione di un prodotto: dal suo stato finale sino alle materie prime di partenza.
L’origine di questa disposizione è stata l’esigenza di creare uno strumento di sicurezza alimentare, la provenienza degli alimenti infatti, non rappresenta di per sé un fattore in grado di discriminarne la qualità, ma permette la gestione di eventuali situazioni problematiche sul tema della sicurezza alimentare, grazie alla registrazione e alla conservazione di tutte le informazioni relative ad ogni passaggio di mano dello stesso prodotto e di ogni sua parte.
L’azienda che commercializza il prodotto finale è obbligata inoltre a “creare” codici distintivi per ciascun lotto di produzione che viene immesso sul mercato, contenenti informazioni sulla data di produzione e sugli ingredienti utilizzati; inoltre, l’assegnazione di ciascun lotto ai distributori finali (ad esempio i supermercati) viene registrata. In questo modo, nel malaugurato caso in cui lotti di produzione dovessero essere ritirati dal mercato a causa di questioni legate alla sicurezza o alla qualità, il ritiro potrà essere quanto più tempestivo ed efficace possibile.
La lettura delle informazioni riportate sull’etichetta di un prodotto, sono quindi fondamentali per le aziende e per istituzioni preposte al controllo, ma sono anche un’ottima fonte d’informazione per il consumatore, che potrà esercitare una scelta più consapevole.
Sul tema tracciabilità e filiera, abbiamo voluto fare qualche domanda a un grande esperto sul tema: Michele Antonio Fino, Professore Associato presso L’Università degli Studi di Scienze Gastronomiche di Pollenzo e autore del libro “Gastronazionalismo”
- Buongiorno Professore, qual è stata la prima occasione in cui si è scoperta l’esigenza di tracciare il percorso di un alimento?
- Buongiorno a voi, credo di potervi sorprendere con la mia risposta… La prima volta che si è creata questa esigenza è stato un momento storico per tutto il mondo: il primo viaggio nello spazio!
La questione era di fondamentale importanza come potete immaginare, e quindi fu la primissima volta in cui si raccolsero tutti i dati di ogni prodotto spedito nello spazio insieme all’uomo. Successivamente ci si rese conto dell’importanza di uno strumento così utile per la sicurezza alimentare e si lavorò per definirlo e perfezionarlo. Ci sono voluti ovviamente dei decenni, ma oggi abbiamo tecnologie e organizzazioni aziendali sempre più performanti per attuarlo e valorizzarlo. - Tracciabilità e Filiera: spesso sono due parole che si accompagnano e a volte si sovrappongono, come possiamo comprenderne le differenze?
- Le due definizioni in effetti raccontano l’origine e la storia di un prodotto, ma c’è un’immagine che potrebbe aiutarci: la tracciabilità è una linea progressiva, immaginiamo una freccia che va soltanto in una direzione, per la definizione di filiera invece, dobbiamo immaginare tante linee e tante frecce, che non seguono un solo percorso, alcune tornano indietro, altre s’incrociano e seguono il prodotto con un’ottica che guarda anche al futuro, alla valorizzazione e all’ottimizzazione del percorso stesso. Una filiera è fatta anche di accordi, di contratti, di controlli e non ultimo, di valori.
Per farvi un esempio, possiamo pensare alla filiera del latte: il benessere animale è un fattore che potrebbe non incidere sulla tracciabilità del latte, ma noi sappiamo quanto sia importante per produrre un latte “buono e giusto”, ecco questo tema viene affrontato dalla filiera, grazie a degli accordi tra gli attori protagonisti della filiera stessa. Oppure possiamo pensare agli scarti di produzione, che in un’ottica attuale di economia circolare possono diventare energia che ritorna sul percorso produttivo… - Grazie Professore, un’ultima domanda sull’origine degli alimenti: il prodotto italiano è sempre la miglior scelta?
- Certo che può essere un’ottima scelta, ma ricordiamo appunto quello che abbiamo appena detto, la tracciabilità non è sempre il perfetto sinonimo di qualità, se non sappiamo “come” viene prodotto un alimento, anche se sul tema della sicurezza possiamo stare tranquilli perché la regolamentazione europea vale per tutti gli Stati annessi, quindi anche per l’Italia.
Scegliere un prodotto italiano è un’ottima scelta per riconoscerci nella nostra cultura e preservare le nostre tradizioni, ma ricordiamoci che anche l’Italia ha diversissime tradizioni che variano da un territorio all’altro e queste differenze sono un’incredibile ricchezza culturale. L’Italia unita è storia recente e le tradizioni enogastronomiche regionali continuano ad esistere e a comporre un meraviglioso bagaglio che rappresenta tutti gli italiani. È proprio per questo che non dobbiamo avere paura d’immaginare la costruzione di un’identità che non sia solo italiana, francese o danese, ma finalmente europea. Personalmente mi auguro che le giovani generazioni comprendano al meglio questo concetto, per costruire finalmente una nuova identità europea che non sia solo politica, ma profondamente culturale.
Vediamo quindi cosa si trova in etichetta e come fare a scegliere in modo consapevole.