Le forme del latte e il lungo cammino del formaggio: da Santiago de Compostela al piatto dei foodies.
A leggere i diari dei pellegrini che percorrevano il lungo cammino che da Santiago de Compostela li portava a Roma non c’è traccia dei formaggi che possono aver degustato e, il più delle volte, alla partenza lo zaino veniva già caricato con pane, cacio locale e carne secca. Solo nel 1717, nel diario di padre Giacomo Antonio Naia, si trova menzione di quel formaggio che gli veniva sempre offerto da Modena a Parma: “il bon formaggio Parmeggiano”, che veniva accompagnato alle focacce dei pellegrini, a qualche uovo sodo o qualche saporita fetta di erbazzone.
E’ proprio con il ‘700, il secolo dei lumi, che tutto cambia e affinandosi le conoscenze su fermentazione e conservazione la tecnologia casearia diventa una vera e propria scienza. L’olandese Antoni van Leeuwenhoek mette a punto l’invenzione del microscopio dando vita alla stagione della microbiologia, scienza fondamentale per comprendere l’evoluzione del formaggio.
L’Enciclopedia di Diderot e d’Alambert, pubblicata tra il 1751 e il 1772, contribuisce a divulgare la tecnica casearia illustrando, con quattro incisioni, gli strumenti usati per la lavorazione del latte e molti di questi, come il tavolo aspersorio inclinato in legno (oggi in acciaio) oppure la caldaia in rame sono utensili ancor oggi impiegati nelle malghe di montagna per la produzione del formaggio a latte crudo.
Si affermano le teorie del chimico tedesco Justus von Liebig e del biologo francese Louis Pasteur che segnano il definitivo passaggio dalle vecchie tecniche ancorate a consuetudini medioevali e si apre un capitolo nuovissimo, quello dell’industria.
Nel 1855 si brevetta in Inghilterra il sistema per produrre il latte in polvere; nel 1865 la produzione si apre alla catena del freddo con i primi congelatori e nel 1871 il tedesco Brenno Martiny dà alle stampe il primo trattato organico e scientifico sulla tecnica di produzione, “Il latte e la sua utilizzazione”, un vero e proprio disciplinare, ed inizia a stampare e distribuire la prima rivisita specializzata del settore. Sempre durante la metà dell’Ottocento Ilya Metchicov applica al latte la pastorizzazione e John Tyndall mette a punto i primi cagli industriali; nel 1877 Gustav de Laval presenta la prima centrifuga, uno strumento in grado di separare rapidamente la panna dal latte, chiave di volta per la produzione e per il consumo del burro, non più considerato solo “grasso di magro” ovvero sostituto di strutto e lardo. Nel 1890 si scopre un sistema in grado leggere istantaneamente il contenuto di grasso presente nel latte e la rivoluzione industriale applicata al formaggio segnerà due atteggiamenti completamente diversi tra i paesi del Nord e del Sud Europa. Nei primi, infatti, la produzione industriale soppianterà completamente quella artigianale, attività che verrà ripresa successivamente dal 1980 in poi, grazie ad una generazione di cheesemaker, giovani che abbandoneranno le città e l’eccessiva industrializzazione per portare alla luce le antiche produzioni. Fenomeno che nel sud dell’Europa non diventò mai così spinto e l’industria si affiancò alla produzione artigianale ed alle eccellenze dop e jgt.
Cambia quindi il modo di produrre il formaggio e cambia anche l’atteggiamento: da cibo insalubre da guardare con sospetto e destinato solo ai contadini il formaggio diventa sempre più gourmet.
Da prodotto finito ad ingrediente di piatti prestigiosi, da cacio da servire tagliato con coltellacci a prodotto affinato ad arte e da servire con piatti, strumenti e posate dedicate. Al formaggio viene riservato un posto specifico all’interno dei menù, come pre-dessert, e ad esso dedicati molti proverbi tra cui uno veneto che ben sottolinea il suo essere indispensabile a tavola ovvero “Ea boca no xe straca se no sa da vaca” (la bocca non è stanca se non sa di vacca ovvero ci si alza da tavola solo dopo aver assaggiato anche un piccolo pezzo di formaggio).
La scienza e la tecnica rendono quindi onore al formaggio come molti secoli prima fece la XXXVII Regola Sanitaria Salernitana “Ignari medici me dicunt esse nocivum, sed tamen ignorant cur nocumenta feram” (medici ignoranti mi dicono che il formaggio è nocivo, ma tuttavia ignorano quali nocumenti arrechi).
Siamo giunti alla fine del racconto delle forme del latte in cui il formaggio ci ha accompagnato attraverso i millenni e in cui ho cercato di restituirgli una nobiltà gastronomica troppo a lungo negata. Ora sta a voi approfondire ulteriormente la sua conoscenza, imparando a degustarlo e a renderlo protagonista dei vostri momenti di piacere culinario.
Leggi anche la prima, la seconda e la terza parte del racconto, sul nostro blog!
Articolo di Anna Maria Pellegrino
Bibliografia essenziale
Storia dell’alimentazione, Jean-Louis Flandrin e Massimo Montanari, Editoriale Laterza, 1996
I formaggi, AAVV, Slow Food Editore, 1997
Quaranta variazioni geometriche sul tema del Grana Padano, Consorzio tutela Grana Padano
Guida essenziale all’acquisto dei formaggi italiani, Alberto Marcomini, Giunti Editore, 2015
Formaggi Naturali, Viaggio alla scoperta dei migliori d’Italia, AAVV, Slow Food Editore, 2017
Milch – Arunda 53, AAVV, Stampa Kofel, 2000
Latte caglio e sale. Tra pianura e monti, AAVV, Sagep Editore, 2014
Immagini tratte dal web